Esperienza a Djiragone – Agosto 2022

Periodo della missione:16/07/2022 – 1/08/2022

Arriviamo a Bona, in Senegal dopo 32 ore. Le abbiamo contate. Alcuni tra noi hanno sfiorato le 36. L’aereo ha fatto 10 ore di ritardo e noi con lui, senza poter fare nulla se non aspettare in aeroporto. Non sapevamo che questa sarebbe stata la prima importante lezione dell’Africa: l’attesa.
Noi occidentali siamo abituati a scadenze, ritmi, orari, programmazioni… L’Africa, invece, viaggia su di un piano diverso, un reticolato diffuso in cui il tempo si palesa solo se gli uomini lo rendono possibile: le persone decidono il tempo e non viceversa.
Questo aspetto può risultare un tantino frustrante per chi viene da fuori continente, in particolar modo all’inizio dell’avventura africana, nel momento in cui si poggiano i piedi su quella terra rossa carichi di un bagaglio pieno di aspettative e voglia di fare.
A poco a poco, però, si impara ad accettare quei ritmi: si accolgono le richieste del corpo stanco per il caldo e l’umidità, per le medicine prese come profilassi contro la malaria, per le nuove abitudini alimentari. Capisci, insomma, che nuotare controcorrente non serve e lasci che la pigrizia ti invada.
Questo assestamento, tuttavia, non impedisce di svolgere un lavoro impegnativo e prolungato nel tempo. Gli orari in ambulatorio, infatti, sono dalle 9 di mattina in poi, ovvero fino a che non si esauriscono i volti e le mani che aspettano pazienti all’ombra dei manghi.

Il lavoro inizialmente ci pare come tutta l’Africa: lento, pigro, poco stimolante. Solo dopo qualche giorno ci rendiamo conto della ricchezza di ciò che stiamo vivendo. Ci troviamo nel sud del Senegal, in un luogo sperduto tra baobab, ficus enormi, palme ed alberi di mango: Djiragone; siamo venute per cercare di dare una mano per quanto possibile nel piccolo ambulatorio territoriale a cui affluiscono tutti gli abitanti dei villaggi vicini. Siamo venute a cercare… forse a cercare e basta; che cosa neanche a noi è così chiaro. A capo di tutto un’infermiera di nome Sophie, una forza della natura. Ha occhi gentili ma decisi ed un sorriso che esplode in risate fragorose, capaci di farti vibrare l’anima di entusiasmo e voglia di vivere.
A Djiragone, con l’aiuto di una sage femme che la assiste con le partorienti ed un farmacista che si occupa anche delle medicazioni, svolge tutte le questioni medico-sanitarie che non necessitano di ospedalizzazione. E anche nei casi acuti che arrivano in urgenza, gli sforzi vengono convogliati nel tentativo risolvere al più presto la situazione, stabilizzando il malato il più possibile. Non ci sono, infatti, ospedali nelle immediate vicinanze. Bisogna percorrere minimo due ore di macchina su strade dissestate, fatte di terra scavata dalle piogge o di cemento ricoperto di buche.
Così lei si prende cura della popolazione. E lo fa in un modo che oltrepassa le richieste professionali: chiama per telefono le mamme ricordando il vaccino per il figlio, sgrida chi non si cura adeguatamente o chi salta le visite e gli appuntamenti fissati, chi ancora non si fa medicare quella ferita così brutta o chi sottovaluta il dolore dato dal mal di denti. Cura, oblativa e quasi sacrificale a volte, nel suo modo di essere sempre disponibile per tutti.

Se la cura è propria di Sophie, l’ospitalità è la caratteristica principale degli abitanti di queste zone; la terranga senegalaise, infatti, racchiude nel suo significato la sacralità degli ospiti, la solidarietà, l’accoglienza e la condivisione. In una casa, che in Africa può arrivare ad ospitare fino a 10 -15 persone, ci sarà sempre un cucchiaio in più per l’ospite di passaggio. E se la famiglia non dispone di abbastanza riso, i vicini contribuiranno a sfamare il nuovo arrivato.

Capitolo a parte bisognerebbe dedicarlo, poi, ai piccoli abitanti di quelle case. I bambini hanno occhi profondi che ti scrutano l’anima e sorrisi impossibili da raccontare; si dividono tra chi ha paura della pelle chiara (spesso perché non l’ha mai vista) e chi invece ne è attratto. La diffidenza iniziale lascia comunque spesso spazio alla curiosità. Giochi, richieste di attenzioni, risate, solletico, abbracci abbandonati… i bimbi hanno giocato una parte enorme nella nostra missione, insegnandoci ancora una volta come si possano abbattere le barriere culturali, linguistiche e sociali attraverso il gioco, la spontaneità e le risate condivise.

Potrei continuare a parlare dell’Africa utilizzando ancora moltissime parole ed immagini, sottolineando anche aspetti difficili da digerire come le enormi contraddizioni intrinseche nel tessuto sociale, la modalità spesso gerarchica di stare in relazione, l’arretratezza culturale dovuta a bassa scolarizzazione, le priorità confuse tra sopravvivenza e vita, il lavoro nei campi di riso e miglio, il divario lavorativo di genere sbilanciato verso le donne, il problema rifiuti e fogne, i bambini talibè venduti dalle famiglie nella speranza di un guadagno minimo, che spezza i loro sogni di futuro.

Questa però vuole essere una parentesi rispetto a ciò che noi volontari di Praticare ci siamo trovati a vivere in queste due settimane in Africa. Difficile condensare in poche righe questa esperienza così ricca di vita. Il modo migliore che abbiamo trovato per vivere questi pezzi di esperienza è stato approcciarci con curiosità, cercando di non giudicare e di imparare il più possibile. Stranieri in terra straniera; noi, i diversi che tutti osservavano in un cambio di prospettiva naturale.
Una volta ritornati a casa, riaffiorano casualmente pensieri, immagini, odori e scorci di un mondo difficile da cogliere e capire nel suo essere così differente.
Porto con me aspetti pratici che ho imparato ma soprattutto relazioni che ho potuto intrecciare. Ciò che fa davvero la differenza sono le persone: quelle che ho potuto incontrare solo percorrendo le strade di terra rossa e quelle con cui ho condiviso questo viaggio dall’inizio. I miei compagni sono stati un’ancora di confronto e conforto, nuovi e vecchi amici con cui respirare casa; chi invece ho conosciuto sul percorso è stato linfa vitale, scoperta, emozione.

E se il cuore si stringe un po’ riprendendo l’aereo per casa, capisco che si è trattato di un pezzo di vita importante che ha preso spazio gettando nuovi germogli con profonde radici.

 

Irene C.

praticare

Back to top