Testimonianze

L’attività dei nostri volontari è rivolta a:

Pubblichiamo qui una serie di testimonianze di amici che sono partiti in missione in Senegal e Kenya:

Giorgia (Pouponniere, M’Bour luglio 2016)

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Ho appena cancellato tutto quello che avevo nel telefono, perchè non aveva più memoria.. quindi la testimonianza non sará la stessa 🙁
Sono indescrivibilemente felice di aver visto l’africa che mi ricordavo. L’africa che respira a ritmo di tamburi, dove i colori sono forti, netti, profondi. La terra è rossa, la vegetazione è verde. C’è tantissima luce e poi, dopo il tramonto, c’è subito il buio. Non ci sono vie di mezzo. I sorrisi delle persone, e dei bambini, sono sinceri. E di quel poco che hanno ti danno tutto. C’è solo da imparare lá, ti insegnano la vita dalla loro (non troppo) ingenua prospettiva. Ti danno la mano, ti cercano, ti saltano addosso, ti vogliono continuamente.. prendono il tuo cuore e lo fanno diventare il più grande possibile, per cercare di fare il massimo per ognuno di loro. L’Africa che emana libertá in ogni soffio di vento.
L’Africa che ti lascia un senso di estraneitá nei confronti di un mondo di falsitá, convenzioni e regole che costituiscono quella che dobbiamo chiamare “civiltá”. Ti lascia la voglia di tornare a CASA.
Eva (Mbour luglio 2016)

 

L’Africa è essenzialmente tre colori, il celeste che rappresenta un cielo limpido e accecante quasi sempre senza nuvole, perfettamente fuso con il verde della vegetazione, quella stessa che ospita la vita: della fauna locale ma anche di milioni di uomini. Infine c’è il rosso, quello delle strade, della terra stessa, che ti impregna i vestiti, ti colora la pelle.

Attraversando la Gambia in battello si arriva dopo interminabili ore a Bona, villaggio della Casamance da dove partono gli smistamenti! Nel comune di Bona abbiamo mangiato sotto una pagoda dal tetto di paglia, nei pressi di un meraviglioso lago riso con chebucen, una pietanza semplice ma davvero eccezionale, come dessert dolcissimi pezzi di mango!

Verso le 17 attraversando stradine improbabili su un furgoncino della Renault di almeno 20 anni fa ho raggiunto Soumboundou. Ah Soumboundou, pazzesca! Non c’è quasi differenza tra l’ambiente selvaggio che ci circonda e il villaggio stesso, gli animali pascolano in libertà, le radici degli alberi s’inerpicano per le strade, dentro i cortili delle case, fanno da sedia o da culla per i più piccoli. I rami sono i confini, quei limiti tra un edificio e l’altro, che forse rappresentano solo un simbolo perché qua nulla è solo proprio, tutto si condivide.

Soumboundou è prevalentemente di religione musulmana, in mezzo alla foresta, florida di vegetazione, pullulante di gente… Al mio arrivo mi viene mostrata una stanza, all’interno di una struttura in mattoni, il letto matrimoniale unico pezzo dell’arredamento, fornito di una meravigliosa zanzariera azzurra che mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo visto le bestie che ronzano qua attorno…

La cosa più strana di tutto questo? La gioia e l’accoglienza del mio arrivo, le persone mi guardano in maniera strana perché ho la pelle bianca, mi chiamano Touba (che significa bianco ricco) mi salutano nella loro lingua il mandinca e sorridono quando io impacciato non so che dire, se non rispondere col mio maccheronico francese.

I bambini, che sanno cosa vuol dire giocare, mi accarezzano i peli, cercano di togliere i miei nei, passano minuti ad osservare il blu e il verde delle mie vene, si stupiscono quando scoprono la mia schiena pallida e quasi come se fosse una malattia controllano su loro stessi di essere accuratamente neri.

Il primo giorno a Soumboundou ho conosciuto: le guide religiose, quattro signori in eleganti abiti locali seduti lungo la via principale del villaggio ad assicurarsi che tutto prosegua per il meglio… Ho incontrato il capo del villaggio, un uomo cieco che stringendomi la mano ha esclamato Abaraka (significa grazie) e poi ha detto che pregherà per me. Infine ho salutato migliaia di altre persone con Salam Aleikum…

L’infermiere che mi segue è veramente bravo, la sera alle 19.00 ho sentito in lontananza la preghiera, ho chiesto se potevamo andare a vedere e dopo esserci lavati siamo corsi in moschea e ho pregato verso la mecca con loro

Cena con riso e cerimonia del te, tutti a mangiare dallo stesso piatto formando un percorso col cucchiaio davanti a se!

Domenica ho visto la morte arrivare e lunedì la vita nascere. I funerali sono particolarmente strazianti, i canti delle donne ti coinvolgono nel profondo, le senti ululare come i lupi, i loro volti corrugati nel vero dolore! Non si rimane impassibili, composti, immobili, si esprime davvero l’uragano della sofferenza. La nuova vita invece è paradossalmente tutta un’altra storia, dopo un po’ di insistenza sono riuscito a partecipare al parto… Cos’è il travaglio se non una smorfia e qualche gemito?

Infine oggi finisce una grande esperienza in Africa, nella vera Africa, quella senza acqua corrente, senza doccia calda, senza servizi igienici degni di chiamarsi tali, senza la ricchezza e senza la comodità dei nostri paesi che non posso negare alle volte mi sia mancata… Domani mi sveglierò nel mio letto pulito contento di esserci, tuttavia nostalgico di quei sorrisi, di quella cortesia e di quella sincerità.

Davide (Casamance, agosto 2016)

Sono stata in Africa per la prima volta nella mia vita. È stato un momento molto importante, perché fin da bambina mi chiedevo che profumo avesse l’aria li, se ci fossero davvero le volte stellate di cui tanto mi hanno parlato i rifugiati senegalesi con cui lavoro a Torino. Ma soprattutto volevo rendermi conto di come nel mio piccolo avrei potuto contribuire laggiù, e come fosse il paese da cui molti sono partiti, ma che tutti hanno negli occhi avvolto da un alone di magia.
Sono rimasta a Bona per circa 10 giorni, e ogni mattina mi sentivo in forze, carica di energie da utilizzare per gli altri, una sensazione potentissima! Ogni giorno avevo la possibilità concreta di mettermi in gioco, di sperimentare e di scoprire, ho avuto la fortuna di stringere legami di Amicizia con persone meravigliose: le ragazze mie coetanee che ci preparavano da mangiare, i giovani del torneo di calcio con cui abbiamo chiacchierato e riso ogni giorno, gli auditi per cui abbiamo organizzato un corso base di informatica, i collaboratori in compagnia dei quali eravamo praticamente giorno e notte, i bambini con cui abbiamo passato ore e ore di gioco sfrenato: persone con cui abbiamo condiviso momenti di confronto, di condivisione, di solidarietà.
Un Senegal molto diverso da quello che vedo qui in Italia: lo stesso ritmo nel sangue, la musica che ti trascina, la stessa teranga negli occhi, ma storie di viaggi e aspettative tradite, nostalgia della famiglia e di una terra in cui l’aria ha davvero un profumo diverso.

Elena (Casamance, agosto 2016)

 

L’Africa mi toccò l’anima già durante il volo aereo, sembrava un antico letto di umanità, il respiro di quel panorama era immenso, da mozzare il fiato a mezz’aria.

L’Africa per me é stato un pensiero, un’emozione, quasi una devozione: lo sono stati i suoi tramonti che sembrano tragici assassini del sole che sorgerà ancora il giorno dopo con mille sfumature uniche; lo sono stati i colori delle case, degli abiti e dei frutti; lo sono stati i suoni dei tam-tam e il canto della gente, lo sono stati i baobab che danno un senso di grandezza , di libertà e di nobiltà suprema; lo sono state le eleganti conchiglie sulla sabbia, lo sono state le sue stelle e la sua luna più brillanti, nitide e limpide;  lo è stato suo cielo azzurro e più vicino a noi perché si vede di più; lo sono stati i sorrisi dei bambini che ti urlano “Toubab” per la strada e ti saltano in braccio.

Gli stessi bambini che hanno nella profondità dei loro occhi il coraggio di vita e la leggerezza di cuore: è una condizione di sopravvivenza la loro, devono condividere tutto quello che possiedono con il gruppo per poter andare avanti.

È grazie a loro che l’Africa ha svelato tutti i miei bisogni insoddisfatti: come avere la terra sotto le scarpe al posto dell’asfalto o bere l’acqua del pozzo dopo una mattinata intensa di lavoro. Sono venuto fin qui ed ero sempre in movimento. Io e il mio gruppo abbiamo riproposto anche qui, tra buche e città polverose, la frenesia occidentale. Ho pianificato e organizzato tutto il mio tempo per non avere attimi vuoti, quelli di cui ho più paura. Poi però, quando ero obbligato ad attendere – e quante volte questa terra mi ha costretto a farlo! – allora ho visto e vissuto cose diverse: non studiavo più ciò che avevo davanti agli occhi, non mi sforzavo più di capire, osservavo e accettavo questa realtà come se fosse la mia normalità.

Sono questi i sentimenti e le sensazioni che mi mancano di più, questo selvaggio e incontaminato modo di vivere la giornata e non di sopravvivere alla routine.
Il mal d’Africa è per me uno stato dell’anima, prima ancora che uno stato mentale, uno studia e lavora in Europa, ma in realtà sogna poi in Africa.
E’ qualcosa che pulsa nello stomaco ed esiste a prescindere dalla cattiva digestione del vecchio e pesante continente o di un giovane e fresco frutto di mango.
Mal d’Africa è una ferita che ti porti dentro e non sulla pelle di quei bambini che con i tuoi aiuti disinfetterà .
Mal d’Africa è osservare un meccanico che non sa da dove cominciare per cambiare la ruota della vostra auto che avete bucato su una strada sterrata, e non importa quanto tempo ci vorrà o tra quanto il volo di ritorno sarà pronto a decollare, perché Dio ha dato l’orologio agli svizzeri, ma il tempo agli africani.

È per questa boccata di aria fresca nella mia vita che mi sveglio, ogni notte, e tendo l’orecchio pervaso di nostalgia e infastidito dal rumore della città e il ticchettio dell’orologio.

La mia Africa è un’emozione troppo grande per poterla descrivere,  a parte la sua conformazione e denominazione geografica, in realtà è a forma di cuore: è il mio amore folle che ho provato per questa terra.

Diego (Mbour agosto 2016)

[12:21, 23/8/2016] Annamaria 2: I giorni antecedenti la partenza mi è sorta una paura assurda, sia per le troppe ore di viaggio sia perché sapevo di essere sola in un luogo mai visto prima. Inoltre non conoscevo nemmeno la lingua!
Ebbene, arrivata in questo fatidico luogo la paura dopo neanche un giorno è svanita. È successa una cosa strana, mi sono sentita accolta in un modo famigliare, mi hanno permesso di entrare nelle loro vite sorridendomi e mostrandomi ciò che ogni giorno facevano:
Bimbe di 10 anni che portano secchi da 10L di acqua sulla testa, senza mostrare il minimo sforzo,
Ragazze di 18 anni in gravidanza per la terza volta,
Donne a casa che aiutate da altre ragazze preparano da mangiare per più persone, cantando e sorridendo SEMPRE.
Si rispettano e si aiutano uno con l’altro, senza credersi superiori a nessuno!
Sono entrata a far parte di questa famiglia, mi sono venuti incontro e ci siamo capiti, in una maniera che va oltre le semplici parole, ci capivamo con gli sguardi. Le ho aiutate nella loro quotidianità, le ho curate, le ho ascoltate, non mi sentivo una Touba, mi sentivo e mi sento tutt’ora una di loro! E mi mancano, mi mancano troppo!
Non bastano le parole per descrivere l’Africa, serve viverla!!

Derli (Casamance agosto 2016)

Sabrina (agosto 2015)

Maiali capre cani e gatti pascolano indisturbati lungo le vie sterrate della città.
Lezione presso la scuola estiva della Pouponniere: conoscono tutti i giocatori italiani, Totti, Del Piero e la formazione italiana.. ma non sanno né  leggere né  scrivere né parlare in francese. Solo wolof.
Ieri abbiamo visitato casa che accoglie talibé…bimbi di strada denutriti e lasciati dalle famihglie più povere ai marabu che dovrebbero insegnare loro il corano. In realtà destinati ad accattonaggio e maltrattamenti continuativi.
Molti di loro non conoscono doccia o penne per scrivere. Questo centro di accoglienza offre loro queste opportunità ma in modalità molto limitate. Non hanno mezzi. 10 baguette al mattino per  30 -40 bambini da dividere e farcire con burro di arachidi. Cibo che non lasciano incustodito neppure quando giocano a calcio. I bimbi in orfanotrofio per assurdo sono i più  fortunati.
Devi vedere come giocano a calcio…  scalzi!
Ho assistito in infermeria a medicazioni di molti di loro. Il più  piccolo aveva 4-5 anni e non piangeva…
I talibé conoscono la loro povertà. …ti chiedono ogni tanto un cadeau=dono, ma non sono acquistabili da nessuno.
Casa di accoglienza diurna dei talibe’ con piccolo presidio infermieristico e scolastico e dove ogni mattina fanno colazione almeno in parte, giocano e 2 volte alla settimana da pochi mesi doccia!
Serenita’…devi vedere che sguardi dignitosi e diffidenti. Noi uomini bianchi siamo in Wolof denominati “toubab” anche da bambini molto piccoli e sempre in modo dispregiativo.
Nella casa recuperano in parte la loro infanzia…un po’ di ristoro e di serenità.

 

Diario di Annamaria dalla Pouponniere di Mbour luglio 2014

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22 luglio

Cari tutti, qui bene e molto da fare..soprattutto con neonati, non ci sarebbe attimo di riposo nel cambiarli, visitarli, farli giocare aiutarli a mangiare…

Ieri sera super cena senegalese con tanto di bissap à boire et à manger e mango a volontà a casa del parente di Ibrahim che ricorda con piacere la missione precedente. Abbiamo deciso di impiegare quota senegal decisa in riunione nell’aiuto a coltivare le risaie e permettere a tutto il dipartimento di Bona-Bounkiling di mangiare. Resta da costruire invece il progetto per l’acquisto di un’ ambulanza nuova. Ieri siamo andati in delegazione al grande ospedale di M’bour per prendere accordi con il direttore per una convenzione con PratiCare accolta con assoluto entusiasmo.

Uno dei momenti più belli é la nostra riunione serale mangiando mango papaya e succo ananas-cocco o il mio tè verde e raccontandoci impressioni della giornata che si chiudono sovente con il pensiero ai bimbi che aiutiamo i quali..pur con nulla…pur soli…pur malati..ci sorridono stendendo a noi le braccia.

23 luglio

Il nostro lavoro procede intesamente e con entusiasmo. Trascorriamo tutto il giorno h 9-18 circa in orfanotrofio,ognuno nel reparto scelto. Pippo e Daniela ormai dominano la neonatologia mentre Tommaso e Luca i più grandicelli che si avvinghiano a loro collo anche per ore. Io sto facendo consulenza medica insieme ad infermieri come sempre preparatissimi. Ieri sera poi abbiamo giocato a saltinmente con schiacciante vittoria di Pippo e grasse risate x le bizzarre proposte di Luca su alcune categorie!

Oggi lavoro quotidiano alla pouponniere, alla sera scambio culinario con gli altri ospiti della maison dove siamo: noi prepareremo pasta al sugo loro rattatouille e tarte francese e svizzera..poi forse balli popolari internazionali. Ieri abbiamo assistito anche a uno spettacolo di jambe in cui i bimbi più grandi hanno ballato egregiamente..

Cosa colpisce? Tanto…le mani allungate dei più piccoli che dalla culla ti guardano e chiedono di essere presi in braccio con un sorriso,la sottonutrizione di alcuni – vedete foto del bimbo che avevo in braccio – e l’allegria di altri che parlano con gli occhi…la difficoltà nel lasciarli perché piangono quando vedono allontanarti dalla loro culla…servirebbero le mani di tutti voi per accudirli e il sorriso di ciascuno per non farli sentire soli.

24 luglio

Ieri lavoro in consultazione medica e diversi casi di malaria e bronchiti,molto diffuse qui. Pippo e Daniela in neonatologia non smettono un attimo di prendersi cura dei bimbi bebè dove ieri si é cimentato anche Luca mentre Tommaso é rimasto solo con venti bimbi di un anno…il delirio! Questo x far capire quante mani e persone servirebbero…il pomeriggio sono andata a Thyes a trovare la famiglia di mariama cui ho recapitato il suo msg.commozione e lacrime da parte della sorella. appena torno le mostrero il video. Alla sera dopo la corsa sulla spiaggia di Tommaso e Luca e la mia ginnastica,abbiamo condiviso cena con gli altri della maison: pasta al sugo di pippo,rattatouille francese e cioccolato svizzero -e io con le mie carotine! Stasera se tutto va bene,dopo giornata di lavoro,festa in spiaggia con jambe e musicisti conosciuti x strada naturalmente indovinate da chi?

25 luglio

Ieri super serata senegalese con jambe,falò e rasta che ci hanno insegnato a danzare (a matteo e non a lui solo sarebbe piaciuto molto)…accoglienza e ospitalità dominano,come tipico della cultura africana.oggi giro al mercato e pome-sera fino a tardi dato che nel weekend il personale é davvero ridotto.domani e domenica lavoreremo tutta la giornata in attesa della grande festa della korite che dovrebbe essere martedì,in base alla luna.siamo stati invitati già in tre famiglie,a noi la scelta!vi iniziamo a mandare foto che riusciamo a fare quando non cé tanta gente. Manca solo una settimana al nostro ritorno,pensiamo di star facendo molto ma che non é mai abbastanza i bimbi parlano con gli occhi,con i sorrisi e con il pianto…mi lasciano il sapore dell’ indifeso e della solitudine.inizieremo per questo,se tutti d’accordo,il parrainage tra praticare e la pouponnerie.

27 luglio

Abbiamo deciso di andare in spiaggia x partecipare poi ai festeggiamenti della chiesa di santa.marta e poi trascorrere tutto il pomeriggio alla pouponnerie. Ieri eravamo gli unici volontari insieme alle maman delle singole sezioni che vengono pagate circa 70 euro al mese. Ieri sera ho avuto cena di accordi con direttore dell’ ospedale che ha già previsto alloggi gratuiti x personale sanitario che manderemo.. direi dunque che anche questa operazione diplomatica.di aprire la.missione sia sanitaria che umanitaria a Mbour s’est bien conclue!vi raccomteremo della spiaggia e della festa più tardi.

28 luglio

Vi scrivo di ritorno dalla messa e festa di santa Marta..bella colorata e cantata!pochi toubabu e fedelissimi senegalesi ailenti e devoti per due ore di messa. La magguor parte é di etnia serere che,a detta del medico ieri,é la meno resistente ai cambiamenti e quindi si é fatta assoggettare dai missuonari cristiani cattolici.segue buffet con piatti tipici, bevande danze e canti.nel pomeriggio riprendiamo lavoro alla pouponnerie.

Ho portato questo bimbo dal pediatra purtroppo condizioni molto brutte respirazione compromessa occhio con congiuntivite einfezione e la mamma é morta tre gg dopo il parto.oggi vediamo come va eventualmente per ospedalizzarlo.inizia l’hinvernage e molti bimbi con febbre e bronchiti.oggi lavoreremo tutto il giorno invece domani festa della korite di fine ramadan.siamo invitati dal cugino di ibhrahim a pranzo e a cena da fatima, ragazza disabile musicista conosciuta da Tommaso (lui e pippo si sono fatti costruire ex novo due jambe con tanto di nome inciso!)…sono gli ultimi giorni di missione e già mi mancano gli occhi dei bimbi e la ricerca di noi.

30 luglio

Ieri giornata di grande festa equiparabile al nostro natale…tutti vestiti a festa,i bimbi per la strada in gruppo a festeggiare e a chiedere monete o caramelle…altra cosa sono i talibi ovvero bimbi i cui genitori non riescono a provvedere alla loro educazione e li affidano per questo a un marabout che li costringe il giorno della festa a bussare di casa in casa e prendere offerte in denaro o cibo per riportarglielo. Si vocifera che chi non riesce a raccimolare nulla,viene anche percosso e fugge dal.marabout. Alcuni dei.bimbi più grandi di cui si sono occupati tommy e luca sono giunti alla pouponniere in questo modo. Per il pranzo la famiglia di Ibhraim ci ha accolto e con il rituale del tè ci siamo congedati nel primo pomeriggio per continuare poi la festa con jambe e ritmi senegalesi a casa di Fatima…si va a trovare i vicini di casa e a chiedere perdono per qualche sbaglio commesso. Poi si prosegue la festa fino a tarda notte…ho ballato come anche Pippo e Luca sui ritmi degli jambe sotto le stelle quasi scorgendo davanti a me il volto di uno per uno i bimbi che ho conosciuto,coccolato e cambiato.tre giorni e chiudiamo la missione dove davvero il care é stato il motivo dominante e trainante per noi volontari e verso gli altri.

1 agosto

Scrivo mentre faccio la mia ginnastica dell’ alba mentre invierò più tardi msg avendo wifi della pouponniere che in questi giorni mi ha permesso di comunicare con voi ma che mi ha fatto anche rendere conto di quanto siamo attaccati a queste macchine mrntre parte del mondo vive senza e forse meglio.ho già il magone della nostalgia che avvertirò sapendo di non vedere più questi bimbi a parte dei quali sono ora affezionata anche solo nel dar loro il pasto o nel cullarli per farli addormentare…mi mancherà anche il sorriso del senegalese la cui teranga ci ha accompagnato fino ad oggi. Sappiamo di aver fatto tanto che non é abbastanza…so che alcuni di questi bimbi di cui ho studiato il dossier clinico e socio-familiare non ce la faranno,che altri usciti da qui si perderanno come talibe e mendicheranno vendendo uno zuccherino o un sacchetto di riso,che altri ancora torneranno a casa chiedendosi dove sia la madre che é morta mettendoli al mondo e altri che usciranno da qui se una famiglia,magari di italiani,li adotteranno totalmente o in parrainage (che è quello che vorrei fare).

Ora sta albeggiando e penso al volo che domani ci porterà via di qui con quella ricchezza nel cuore che forse non riesco ad esprimere. é vero: non serve venire necessariamente in africa per aiutare perché lo facciamo con il prossimo anche in Italia ma serve e fa riflettere capire e sapere che esiste anche questa parte di mondo per compredere quanto a volte poco apprezziamo ciò che realmente abbiamo e poco valorizziamo ciò che a noi sembra scontato avere, come una mamma e un papà che ti danno il biberon o ti fanno una carezza per farti addormentare.alcuni di loro l’hanno ritrovato nelle nostre mani e nei nostri occhi …talora impotenti ma comunque nella CURA presenti.e ora sorge l’alba..

Anno 2013

La prima testimonianza è di Bruna, una nostra socia, di ritorno da una recente “missione” in Senegal

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Pensieri di viaggio

Non so cosa mi abbia convinto ad accettare di vivere tre settimane della mia vita in Africa, in particolare a Bona, villaggio della Casamance in Senegal, eppure ho preso questa decisione.

 Nelle settimane antecedenti alla partenza, ho iniziato ad avere paura, mille timori, preoccupazioni per la mancanza probabile di igiene, panico perché l’acqua non sarebbe uscita dai rubinetti, anzi, forse non ci sarebbe proprio stata, zanzare, vaccinazioni, cibo, persone e tanti altri pensieri.

Ma sono partita e oggi, ritornata qui in Italia, mi ritengo una persona fortunata perché ho portato indietro un bagaglio di sensazioni positive, una grande umanità, le immagini di una natura paradisiaca. Ho vissuto una vita completamente diversa dalla mia e giorno dopo giorno, ma direi praticamente da subito, ho dimenticato tutte le negatività a cui avevo pensato. Parlo in prima persona, ma penso di interpretare il pensiero di tutti quelli che erano con me e che mi hanno permesso e aiutato a vivere appieno questa esperienza.

In modo semplice e naturale trascorrevo la mia giornata. Ed ecco che il banale gesto di aprire un rubinetto, e spesso di lasciarlo aperto a vuoto anche per qualche minuto, l’ho sostituito con un secchio da riempire con l’acqua del pozzo (sul fondo del quale vivevano serenamente rane), i piatti da portata del cibo (cotto con l’acqua del pozzo), le posate, i bicchieri, non erano così lindi e lavati con il nelsen piatti, ma dentro, oltre a qualche residuo mai tolto, c’era un ottimo cibo cucinato con dedizione per noi, per farci stare bene e non importa se, con i loro tempi africani, arrivava non alle nostre consuete ore, ma anche con tre ore di ritardo, sempre però arrivava portato da un corteo di bimbi e ragazze allegre e sorridenti.

Le passeggiate per i sentieri del villaggio erano confortevoli e arricchite continuamente dalla presenza delle donne, dei bimbi, degli uomini e degli anziani. Tutti sempre alzavano la testa, sorridevano, salutavano e mi chiedevano, sempre con il sorriso, come stavo dandomi la mano.

Sono entrata nella loro vita, in punta di piedi, senza avere la pretesa di cambiare qualche cosa, ho cercato di viverla rispettando regole e tradizioni. Ho cercato di capire, di ascoltare e farmi dire di che cosa hanno più bisogno, per poterlo raccontare, organizzare e, sarebbe splendido, intervenire.

Ho vissuto a contatto con i bambini, dai più piccoli ai più grandi. Ho provato a donare loro allegria, giochi, disegni, canti, balli e girotondi, ma sicuramente sono stati più loro a donare a me attenzione, rispetto, riguardo, e tanti tanti sorrisi.

Non cito una frase che a volte si sente tornando da una esperienza come questa: “l’Africa mi ha cambiato la vita”, no non è vero, ma l’esperienza a Bona, in Africa, mi ha fatto capire come noi abbiamo passato il limite e non siamo più tanto capaci di gioire delle cose, anche le più piccole, che la vita ci offre. A loro ne offre veramente poche di cose, e se le devono conquistare duramente, ma le sanno vivere pienamente e ne traggono il meglio che possono.

Posso dire che questa esperienza per me è stata una interessante e utile lezione di vita: come se mi fossi trovata di fronte un bravissimo insegnante, di quelli che ti fanno amare la materia e che non vedi l’ora di studiarla, per trarne beneficio ogniqualvolta possa tornare utile.

Ringrazio Annamaria Fantauzzi per avermi dato questa grande opportunità che spero di ripetere. Ringrazio i miei splendidi compagni di viaggio: mio marito Carlo, le dolci Carola, Fabrizia e Vittoria, le brave infermiere Alice, Alice, Cinzia e Paola.

Racconto di Bruna Merlo

 

Paola Bonichon Senegal, Casamance, villaggio di Karantaba

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Africa, la ricchezza nel cuore

La mia missione in Senegal come studentessa di infermieristica è stata un’esperienza di stage formativo sia a livello professionale sia a livello antropologico- sociale, poiché ho avuto modo di ampliare le mie conoscenze sia pratiche sia teoriche riguardo alle scienze infermieristiche e ho potuto conoscere una cultura differente dalla mia. L’intento con cui sono partita era quello di portare il mio aiuto ai molti malati che ogni giorno, provenienti da villaggi lontani, si recano nei dispensari di salute nel sud del Senegal, nella regione Casamance e di arricchire il mio bagaglio personale a livello soprattutto di relazione con il prossimo. A missione terminata posso dire con certezza che è stato sicuramente di più quello che mi sono portata a casa come esperienza di vita rispetto a quanto ho potuto contribuire come conoscenze, medicinali e beni di ogni sorta portati direttamente dall’Italia.

Il villaggio che mi ha ospitato per quindici giorni porta si chiama Karantaba, in lingua Mandingue “apprendere dalla’albero” e si trova nella regione di Casamance all’estremo sud del Senegal. Per arrivarci bisogna percorrere strade sterrate e prendere una piroga. L’etnia dominate è quella dei Mandengue, pochi sanno parlare in francese e vivono per lo più di quello che la terra produce e di pesca.

La giornata è scandita soltanto dalle preghiere e dalla luce del sole. Nessun appuntamento da rispettare, nessuna bolletta da pagare e nessuna scadenza da controllare.

I bambini non hanno scarpe e la visione di “un bianco” ancora li spaventa. Corrono per tutto il giorno in strada, tutti insieme, grandi e piccini per mano, senza litigare per chi ha gioco più bello, perché non ne hanno.

Si vive in comunità qualsiasi evento della vita, dalla nascita che viene accolta come dono di Dio alla morte che viene accettata come volere di Dio. Nonostante la povertà materiale, nessuno mai si lamenta, nessuno perde mai l’occasione di sorridere alla vita.

Ancora oggi, le donne incinte rischiano l’aborto per il duro lavoro nei campi, i neonati rischiano di morire nei primi giorni di vita per semplici diarree e gli adulti muoiono di malaria e tubercolosi.

Occuparsi di salute in Senegal come molti altri Paesi dell’Africa non è semplice: mancano i farmaci, i guanti, il disinfettante e un infermiere, seppur professionista e con un’esperienza incomparabile, deve gestire da solo migliaia di pazienti che ogni giorno percorrono chilometri a piedi per sentirsi spesso dire che non c’è nulla da fare o che la cura ci sarebbe, ma è troppo costosa.

Nonostante questa grande sofferenza che non si può risolvere facilmente dall’oggi al domani con il mio breve soggiorno, non mi porto a casa soltanto immagini di tristezza, anzi. Con gli africani che ho incontrato, anche se con una cultura e una religione molto diversa dalla mia, sono riuscita a condividere parte della loro spiritualità e dei loro messaggi di amore e di speranza verso il prossimo. Sono proprio loro che mi hanno dimostrato che la Fede ti porta ad andare avanti anche quando i problemi sembrano sommergerti, mi hanno dimostrato la forza della preghiera quando le medicine non bastano, mi hanno insegnato a ringraziare ogni giorno per quel che la vita ci offre, che a tutto c’è una soluzione e che un giorno senza sorriso è un giorno perso. Mi hanno insegnato che siamo fortunati ad avere un tetto sulla testa, dei vestiti per ripararci dal freddo e dalla pioggia e che siamo fortunati ad avere fontane da cui sgorga acqua pulita. Mi porto a casa la semplicità del vivere insieme, come una grande famiglia, che insieme supera qualsiasi ostacolo della vita, ma soprattutto che non si è mai soli.

Bianco, nero, italiano, senegalese, siamo tutti esseri umani di questo pianeta, tutti abbiamo il diritto di accedere alle cure, di essere felici e godere delle meraviglie del creato.

 L’unica cosa importante quando ce ne andremo, saranno le tracce d’amore che avremo lasciato.

Albert Schweitzer

 

Testimonianza di Cinzia Bianco

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Senegal, villaggio di Ndiama

Donare e ricevere, l’ incontro e la cultura: Senegal 2013.

04/11/2013

Caro diario,

sono passati ormai tre mesi dall’esperienza umanistica vissuta in Senegal, ma i miei pensieri, le sensazioni che provo dentro dal mio ritorno dall’ Africa a volte mi fanno rivivere i momenti trascorsi in questo paese.

Partita il 29 Luglio con gli altri miei otto “toubab” compagni di viaggio, giunta a destinazione ho subito “assaporato la nostra Africa”: il viaggio verso il sud del Senegal con i suoi paesaggi immensi sotto a un cielo infinito, gli incontri con ministri e abitanti della provincia di Sedhiou, ma soprattutto loro… i bambini conosciuti nei nostri venti giorni vissuti da Senegalesi. Sì, i bambini dei villaggi che sono stati capaci di superare la loro iniziale paura verso noi bianchi troppo “diversi” ai loro teneri occhioni, in voglia di conoscerci, di camminare insieme tenendoci per mano, di chiamarci per nome o ancora meglio i “toubab” (i bianchi) e sorridere… sorridere sempre alla vita.

Questo è stato un grande insegnamento: mi ha stupita la loro voglia di affrontare giorno per giorno, nonostante la povertà e le difficoltà quotidiane, ciò che la vita loro riserva, sempre con il loro dolce sorriso contagioso.

Poi impossibile dimenticare la mia esperienza nel Postè de Santè del villaggio di Ndiama, con l’ infermiere Mansanou Fall. Cosa mi ha colpito di lui? Sicuramente i suoi 202 cm di intelligenza, altruismo e disponibilità nei confronti di me ospite ma soprattutto dei suoi pazienti. Con la sua professionalità mi ha fatto scoprire concretamente il significato dell’ etnonursing, delle differenze della figura dell’ infermiere in una cultura altra rispetto alla nostra occidentale: in Senegal esso gode sicuramente di maggiore responsabilità sanitaria e potere decisionale, potendo in piena autonomia elaborare diagnosi mediche e prescrivere farmaci alle persone assistite. Le visite dell’ infermiere si svolgono attraverso un vero e proprio modello paternalistico; tuttavia l’ infermiere Mansanou ha avuto molta apertura culturale poichè mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con le persone attraverso un rapporto tra pari, peculiare della nostra cultura medica occidentale, e quindi con la relazione, il tocco, il caring, il sorriso, un approccio empatico e così il prendermi cura non solo della malattia, ma soprattutto della loro componente emotiva.

Altra tappa importante del nostro viaggio è stato il villaggio di Bona, di nuovo tutti noi studentesse infermiere e volontari insieme, in cui abbiamo avuto la grande fortuna di continuare a trascorrere i nostri giorni durante il periodo del Ramadan, con le sue preghiere e riti musulmani e il digiuno quotidiano degli adulti capaci di adattarsi in modo sorprendente a noi e alla nostra necessità di mangiare durante i pasti. E poi con la “grande fête” finale al termine di questo mese di sacrifici, con le tipiche musiche africane. È stato tanto divertente quanto emozionante scoprire che conoscere e provare balli differenti di una cultura altra potesse diventare un vero momento di incontro e scambio culturale.

Così, terminata il 16 Agosto la mia esperienza da infermiera e da ospite in questi villaggi Senegalesi, mi sono promessa di ritornare un giorno in questo paese, che è stato capace in pochi giorni di regalarmi principi, emozioni positive, momenti di condivisione culturale con molte persone, ognuna speciale a modo suo per ciò che mi ha trasmesso. Ed è proprio vera la frase “chitorna da un viaggio non è mai la stessapersona che è partita”: questa esperienza ha insegnato a tutti noi a conoscere culture altre, a conoscerci meglio, a metterci in discussione, ad apprezzare le diversità culturali e ciò che ci accomuna.

E con questi ricordi riemersi dalla esperienza vissuta ti saluto caro diario,

Cinzia.

Pubblichiamo una serie di testimonianze di volontari dai centri di accoglienza per migranti di Pozzallo, Trapani e Ragusa:

22 agosto 2016

La nostra esperienza è stata bella e intensa!! Abbiamo conosciuto delle persone stupende, scoperto la Sicilia, condividendo tante storie di ragazzi del Cas di Valderice dove eravamo!! Abbiamo cercato di passare ai ragazzi le nostre usanze e conoscenze varie, e ci siamo divertiti tantissimo insieme con loro!!! La cosa che non aspettava nessuno di noi 4 però era di legarsi cosi tanto a questo posto e ai nostri nuovi amici!!!

Karina

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Racconto di una volontaria, 11 maggio 2016:

É passata una settimana da quando ho fatto questa esperienza come volontaria studentessa di infermieristica. Fino ad una settimana andavo da una SPAR all’altra a donare una piccolissima fetta del mio sapere a ragazzi che avevano più o meno la mia stessa età che mi raccontavano,ognuno a suo modo,ognuno con i suoi tempi,la loro storia di vita. Non sono storie da telegiornale,sono storie vere in cui ci sono persone che hanno fatto giorni in viaggio verso un paese sconosciuto perché nel loro Paese picchiano ancora fino all’ultimo sangue le donne perché stanno manifestando per i loro diritti, oppure per povertà, per mancanza di libertà nel fare una strada diversa per ritornare a casa perché si rischia sempre la vita, per poter dare un futuro migliore alla propria famiglia. Una famiglia che in tanti non hanno avuto più occasione né di vedere,né di sentire,né di sapere se é viva. Ci sono fratelli che hanno guadagnato del denaro facendosi sfruttare almeno un anno in Libia, per poter dare la possibilità al ragazzo che mi sono trovata di fronte di vivere meglio di lui. Ci sono mamme che sono morte durante il viaggio con questi ragazzi. Migliori amici morti davanti ai loro occhi. Ci sono bambini che hanno già visto troppa crudeltà ed hanno meno di 10 anni ma ti parlano della guerra. Di come sentono dolore per tutti i Paesi che la fanno, di come possono altri bambini avere le armi in mano e fare danni irreversibili, di come si potrebbero aiutare i poveri se si costruissero piscine senza bombe nel mare che ammazzano la gente.
Ci sono donne che ti parlano senza parlare perché sono piene di lividi, di ferite, ma nonostante tutto hanno uno sguardo fiero anche se probabilmente certe ferite non spariranno mai dal loro corpo e dalla loro mente. E se da una parte ci sono questi vissuti,ad Acate Marina si ritrovano persone che vengono sfruttate per una miseria tutto il giorno. Persone di cui nessuno parla. Persone che sono terrorizzate dal perdere una giornata di lavoro per fare un controllo più specifico in ospedale. Persone che anche se hanno la febbre da giorni non hanno la pretesa di dover guarire completamente ma riescono solo a pensare a qualcosa di temporaneo che possa dar loro la possibilità di reggersi in piedi e continuare a lavorare. Persone che cercano di recuperare la normalità facendo “shopping” alla Caritas e scegliendo vestiti più belli per fare una sorpresa ai loro cari. Persone che riportano comunque delle cicatrici legate alla loro vita odierna ma anche al viaggio in mare. Quel viaggio alla fine del quale i sopravvissuti arrivano senza sapere più dove sono,arrivano barcollanti,disidratati,ma non hanno la forza di chiedere né acqua né cibo. Arrivano terrorizzati e talvolta muti. Hanno paura di dire la loro età ma non hanno la forza di mentire perché sono esausti. Arrivano pieni di ustioni perché sono stati giorni in mare a contatto con la plastica del gommone che è troppo calda,ma non hanno lo spazio fisico per cambiare posizione. Ma nonostante il caldo portano tutti un cappellino,forse quello che uno dei loro cari gli aveva dato prima di partire,forse un oggetto per loro indispensabile per ripararsi dal freddo del viaggio o dalla pioggia,forse un oggetto che metaforicamente può rappresentare un luogo sicuro per la loro testa che vorrebbe solo scoppiare. In tanti c’è la spiritualità che li accompagna soprattutto nella vita “post-sbarco” ed alcuni continuano a ripetere che pregheranno per te perché sei una di quelle persone che fa del bene e che merita il bene.
Non sono sicura di sapere come possano essere sopravvissuti a tutti questi avvenimenti,non sono certa neanche che tutti loro li abbiano metabolizzati,ma sono convinta che dopo aver sentito queste storie tutti meritano il mare. Un mare senza bombe che possa dar loro una speranza. Un mare che possa tremare e possa essere sconfitto dalla loro forza, perché di forza ne hanno tanta,anche se ancora non lo sanno.
Ed io posso solo ringraziare per ogni cosa che mi ritrovo attorno e posso solo sperare di diventare una persona migliore,un’infermiera migliore, e porgere loro la mano a partire dallo sbarco fino a quando si sentiranno sicuri nel dirmi “basta” e proseguiranno con le loro forze.

Ascolta la testimonianza di due volontarie in Sicilia 28 aprile 2016

Colgo l’occasione per dirle che da quando sono rientrata dalla Sicilia non c’è giorno in cui io non pensi ai giorni passati giù. Penso ai ragazzi, alle loro tristi storie, ai loro grandi sorrisi. Penso a quanto ho ricevuto in soli 14 giorni, quante emozioni che ancora oggi mi porto dietro e che non vorrei vedere svanire mai.
E passo le giornate sui libri a studiare e avere voglia di essere là, ad aiutare loro. Essere utile. Poi mi dico”Studia, passa gli esami, e potrai fare ancora di più per loro”.
Ogni giorno vorrei partire.
Ancora di più in questi giorni, quando sento l’esperienze delle ragazze che ora sono giù.
Ma devo tenere testa alle mie responsabilità da studentessa di infermieristica, che si sa che a volte il tempo manca.
Ancora grazie per avermi dato la possibilità di vivere questa Sicilia che neanche immaginavo. E quindi grazie di avermi dato la possibilità di rendermi una persona migliore. Diversa.

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Pubblichiamo il messaggio (21 aprile 2016) di una nostra associata:

Ciao Anna, oggi mi è successa una cosa. Sono andata in treno a Milano. Al ritorno ero in treno, appena partito da Milano centrale e dopo pochi minuti il capotreno dall’autoparlante chiede se vi fossero medici o infermieri a bordo, perché una signora si era sentita male e di andare in capo al treno con urgenza. Sono andata.

Una signora senegalese era a terra svenuta. l’ho soccorsa immediatamente: aveva avuto una lipotimia, polso flebile e tachicardico, sudata per le mille maglie addosso e lo sforzo fisico. Non parlava italiano ma solo francese.

Ovviamente il treno si ferma alla prima stazione e stiamo fermi fino all’arrivo di in ambulanza. Un ora circa. Nel mentre troviamo qualcuno che parli francese e che mi aiuti a comunicare con la donna che per fortuna dopo 20 minuti si è ripresa un po’.

Scopro che non mangiava da due giorni per comprarsi il biglietto per torino dove raggiungeva dei conoscenti. Il malore era dovuto a questo e allo sforzo fatto (ha corso per prendere il treno in tempo) e per lo spavento perché aveva con se quattro valige molto grandi e due borsoni ed era riuscita a portane su solo due, perché le porte si erano chiuse e il treno era partito.

Questo l’aveva agitata molto perché nelle valige aveva “tutta la sua vita”, ha detto. Era in Italia da poco, era arrivata a Pozzallo circa un mese e mezzo fa (non è stata molto chiara sul tempo) da sola. Piangeva perché la gente le passava vicino e urlava guardandola male e anche se non capiva le parole capiva le facce contrite e accusatorie, come se lo avesse fatto apposta. Questo l’ha fatta sentir male di nuovo me nel mentre è arrivata l’ambulanza e il treno poi è ripartito.

In me poi si è scatenata una rabbia immensa perché le persone non facevano che dire “non si poteva farla scendere e qualcuno della stazione aspettava li i soccorsi?” “Faceva finta di stare male, sicuramente non aveva il biglietto e ora, come sempre, paghiamo noi per loro! Io per colpa sua ho perso la coincidenza”

Mi sono girata e ho risposto che la signora aveva il biglietto (lo ha fatto vedere lei al capotreno, poverina, prima di scendere coi soccorritori) e mi ha fatto male tutto quel razzismo! “Paghiamo noi per loro” ” sicuramente non aveva il biglietto” queste parole sono state lame per me.

Poi ho pensato a cosa avrebbe potuto fare adesso quella signora, senza più metà dei bagagli, “la sua vita”. Come se non ne avesse già passato abbastanza fino ad oggi.. E poi quando ha detto che era arrivata a Pozzallo..

È stato un tuffo indietro, nell’esperienza bellissima e dolorosa che ho fatto con praticare.. Mi consola solo aver fatto del mio meglio per aiutarla, come ho cercato di fare giù in Sicilia. Ti scrivo tutto questo perché volevo ringraziarti per tutto quello che mi hai trasmesso, non solo come insegnate, ma come persona. Grazie perché se non sono come quella gente, un po lo devo a te Anna!

E grazie anche a PraticareTi abbraccio forte, pensando che vorrei esser di nuovo giù, sopratutto in questi giorni con queste “nuove” tragedie, sopratutto oggi, dopo l’esperienza con Mimì (questo è il suo nome tra l’altro)

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7 marzo 2016

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Buongiorno professoressa, siamo rientrate oggi e io sono da poco a casa. Ora credo di saperle dire veramente quali sono le mie impressioni e le emozioni che posso provare di fronte a Canicarao. Per due settimane abbiamo mangiato, dormito e vissuto insieme ai ragazzi e come i ragazzi. Avevamo una stanza in cui ci stavano giusti giusti 3 letti, acqua calda per la doccia solo a momenti e cibo che spesso lasciava a desiderare. Eppure tornando nella mia casa, nella mia camera che penso sia il doppio di quella stanza in cui dormivamo in tre, non sento altro che solitudine e penso che di tutto questo comfort non me ne faccio niente se poi mi manca il calore di quei ragazzi, le loro risate e la loro presenza costante che riempie il cuore e colora la vita. E penso a quanto non ci accorgiamo mai di avere la certezza di una casa e di una famiglia, di quanto non ci rendiamo conto della nostra libertà e sicurezza e di quanto siamo lontani da dio o dalla speranza incondizionata in un futuro migliore.
Mi rendo conto di aver fatto poco e niente per loro ma al contrario loro mi hanno scaldato il cuore e insegnato ad apprezzare la vita sempre e comunque. Spero di poter essere un nuovo punto di riferimento nella loro vita, totalmente da ricostruire.
La ringrazio per avermi dato la possibilità di vivere quest’esperienza e di conoscere delle persone meravigliose!

Un’altra volontaria:

Buonasera professoressa, volevo scriverle due parole riguardo all’esperienza a Canicarao. La mia compagna Anna ha già parlato anche per me, ma volevo ringraziarla personalmente per averci dato la possibilitá di vivere queste due settimane con i ragazzi. Entrando nelle nostre case io ed Anna abbiamo avuto gli stessi pensieri.
Per tutto il giorno sono stata circondata da amici e famiglia ma sono stata completamente assente, la mia testa era ancora a Canicarao,e ora che sono rimasta sola posso lasciare andar le lacrime che oggi ho trattenuto. Mi mancheranno i ragazzi, con i loro sorrisi, loro semplicità e voglia di vivere. Sono andata giù con la missione di donare gioia, speranza emozioni.. Sono arrivata a casa con il timore di non aver fatto abbastanza per loro, mentre a me LORO hanno donato TANTO!!! Per cui grazie, grazie di cuore! A Canicarao ho lasciato una parte del mio cuore, e Canicarao sará sempre nel mio! Ammetto che fatico molto ad esprimere le mie emozioni, ma cercheró di fare del mio meglio giovedì sera!

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Un’altra volontaria, dicembre 2015:

Quest’anno per me è stato un anno davvero pieno di emozioni e sentimenti fortissimi.. Sia il Senegal che la Sicilia mi hanno aperto la mente e il cuore e mi hanno fatto capire che il mondo è così grande e così lontano da noi, ma che con un piccolissimo gesto, che sia una parola, un sorriso o semplicemente un silenzio di vicinanza si può rendere più felice la vita del prossimo per un breve istante e che loro stessi rendono migliore la tua, facendo cambiare e migliorare non solo la prospettiva di vita, ma anche il proprio modo di essere..
Spero davvero di poter ripartire ad Agosto!

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Ecco le testimonianze di altre due volontarie, Simona e Sara, dicembre 2015:

Salve prof, io e Maddalena ieri abbiamo fatto la lezione sulla pulizia che è andata molto bene, ci hanno seguite senza troppi problemi. Stamattina abbiamo conosciuto il direttore e abbiamo parlato con lui per far partire un laboratorio di riciclaggio, ed è stato accettato molto bene. pensavamo di usare delle cassette di legno della frutta da utilizzare come scaffali per poter mettere la roba delle ragazze che hanno pochi spazi da poter utilizzare. Se riusciamo a finire le manderemo delle foto.

Oggi invece abbiamo fatto giardinaggio insieme ai ragazzi.. È stato un bel momento di condivisione e c’è stato modo di condividere il momento anche con le persone del posto, che quando passavano si congratulavano con i ragazzi per il lavoro che stavano facendo, e loro cercavano di rispondere in italiano..

Questo pomeriggio invece facciamo il gioco di italiano che abbiamo costruito lunedì e l’albero di Natale insieme ai ragazzi!

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